Il fiore di EVA

Impazza a Pesco la raccolta dello zafferano! Sveglia all’alba, tutto il giorno a sfiorare chiacchierando e poi subito essiccare al calore della stufa. Speriamo bene: questo primo tassello dell’attività agricola è decisiva per il progetto e per finanziare nuove attività di rinascita. Chi vuole prenotare può chiamarci a qualsiasi ora. A seguire un contributo orale del nostro Luther Balla.

IL FIORE DI EVA
” Pur non essendo inserito nel cartellone dei grandi eventi, la fioritura dello zafferano è uno spettacolo da non perdere, e per di più gratuito nei silenziosi altopiani aquilani feriti dal sisma: lunghe ed ordinate coorti di verdi lance inguainate. Armigeri di clorofilla che proteggono una paranza di petali viola lilla, gialle femminelle e stimmi color del sangue, dentro cui vibra, chissà, il principio igneo del flogisto, che anela a tornare al cielo del fuoco, come invano secoli fa l’alchimista John Becher cercò di dimostrare. L’esser poi lo zafferano una merce pregiata come l’oro, fa parte dell’essenza del fiore, che racconta di navi fenice che solcavano il mediterraneo, di cammelli che caracollavano, oltre la Persia dei Re, su “praterie pettinate come i capelli degli angeli”, dei mercanti di Norimberga dagli occhi infallibili e muti, attesi alla fiera dai contadini dei borghi, ”con quel sacchetto in mano tenuto in custodia nell’armadio – scriveva Titta Rosa – dove aveva profumato la biancheria e da cui dovevano uscire le compere della stagione, la dote per la figlia da maritare, e il maialetto da allevare per l’annata. Un dilemma è poi la definizione oggettiva dell’eccellenza dello zafferano aquilano. Forse chissà non è questione di formule chimiche, sequenze di geni, composizione del suolo. Il segreto dello zafferano di Pescomaggiore va piuttosto cercato nel legame secolare dei bulbi con questa terra, tutti figli per geometrica scissione da quella primigenia manciata, che un frate mise nella bisaccia prima di tornare dalla lontana Spagna. Provateci voi del resto a tradurre in logaritmi un profumo in cui si avverte come nota di testa le ampie visioni di torri, tholos e chiesette, e ancor prima sentori di papaveri, campi di grano e mandorli, e pure, come nota di cuore, echi del vociare di giovani donne che, scriveva Massimo Lelj, tornavano dal campo “coi cesti infilati al braccio, canestri in capo leggeri, e sedevano in cima alla scalinata, con il cesto sulle ginocchia a sfiorare, la più femminile di tutte le operazioni, che pure non impediva a un giovanotto d’avvicinarsi”. Materia da falsari di parole, insomma, più che da scienziati, un po’ come il flogisto di John Becher” (Luther Balla)

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